Nell’articolo dedicato al trasformatore e al suo funzionamento abbiamo visto che funziona in base al fenomeno della mutua induzione che avviene tra due avvolgimenti. L’autotrasformatore è un dispositivo simile al trasformatore ma che a differenza del trasformatore che comprende due avvolgimenti, uno primario e uno secondario, l’autotrasformatore comprende un solo avvolgimento e per tale motivo funziona in base al fenomeno dell’autoinduzione. La differenza rispetto al trasformatore è che l’autotrasformatore ha un solo avvolgimento che funziona sia da primario che da secondario mentre il trasformatore ha due avvolgimenti separati, uno primario e uno secondario.
Come il trasformatore anche l’autotrasformatore può essere sia elevatore sia riduttore di tensione.
Cerchiamo di comprendere il suo funzionamento.
Prendiamo come esempio un autotrasformatore riduttore di tensione e un autotrasformatore elevatore di tensione in cui in ciascuna spira viene indotta una forza elettromotrice, f.e.m., di 0,5V.
Autotrasformatore riduttore di tensione costituito da un nucleo attorno al quale è posizionato l’unico avvolgimento provvisto di due prese intermedie, A e B.
Dalla figura si evince che l’avvolgimento comprende 440 spire, 352 tra gli estremi B e C e 88 tra gli estremi A e B: 352 + 88 = 440
Visto che il flusso concatenato con queste spire induce in ciascuna spira una forza elettromotrice, f.e.m., di 0,5V, tra gli estremi A e C si ha una f.e.m. di 220V (440 x 0,5 = 220) uguale alla tensione applicata tra questi due estremi.
Se in ogni spira si inducono 0,5V tra l’estremo A e l’estremo B (presa intermedia) si ha una f.e.m. di 44V (88 x 0,5 = 44) mediante la quale si può far circolare la corrente di 2A nel resistore da 22 ohm.
Da ciò anche con l’autotrasformatore si può ridurre la tensione da 220V a 44V, quindi di cinque volte come abbiamo visto con il trasformatore.
Le 440 spire comprese tra l’estremo A e C, tra i quali si applica la tensione di rete di 220V, si possono considerare come spire primarie mentre le 88 spire comprese tra l’estremo A e l’estremo B, si possono considerare come spire secondarie da cui si ottiene la tensione di carico.
Tra il numero delle spire primarie e quelle secondarie e tra le relative tensioni e correnti valgono le stesse relazioni viste per il trasformatore.
Nell’autotrasformatore il risultato ottenuto dividendo la tensione applicata alle spire primarie per quella ottenuta dalle spire secondarie è il rapporto di trasformazione dell’autotrasformatore.
Autotrasformatore elevatore di tensione.
Dalla figura si può vedere che gli estremi A e C dell’avvolgimento e la presa intermedia B sono collegati alla rete e al carico.
La tensione di rete 220V è applicata alle 440 spire comprese tra l’estremo A e l’estremo B perché, considerato che anche qui il flusso induce in ciascuna spira una f.e.m. di 0,5V, tra gli estremi A e B si ha una f.e.m. di 220V (440 x 0,5 = 220) uguale alla tensione di rete. Le linee d’induzione chiudendosi attraverso il nucleo, risultano concatenate con l’intero avvolgimento disposto attorno al nucleo stesso e quindi con le altre 440 spire coprese tra l’estremo B, presa intermedia, e l’estremo C. Anche in ciascuna di queste spire viene indotta una f.e.m. di 0,5V e quindi tra i due estremi si ha, come per gli estremi A e B, una f.e.m. di 220V (440 x 0,5 = 220).
La f.e.m. che si ottiene tra gli estremi A e C è di 440V (220 + 220 = 440), mediante la quale si può far circolare la corrente di 2A nel resistore di 220 ohm.
Quindi anche con l’autotrasformatore si può elevare la tensione di rete di due volte come visto con il trasformatore, da 220V a 440V.
Le 880 spire comprese tra l’estremo A e l’estremo C si possono considerare spire secondarie dalle quali si ottiene la tensione di carico mentre le 440 spire comprese tra l’estremo A e l’estremo B (presa intermedia) si possono considerare come spire primarie alle quali è applicata la tensione di rete di 220V.
Anche in questo caso tra il numero delle spire primarie e quelle secondarie e tra le relative tensioni e correnti valgono le stesse relazioni viste per il trasformatore e il risultato ottenuto dividendo la tensione applicata alle spire primarie per quella ottenuta dalle spire secondarie è il rapporto di trasformazione dell’autotrasformatore.
Come abbiamo visto per l’autotrasformatore riduttore di tensione anche per nell’autotrasformatore elevatore di tensione nell’avvolgimento compreso tra l’estremo A e l’estremo B circola sia la corrente primaria sia la corrente secondaria. Queste due correnti producono due f.m.m. e quindi due flussi d’induzione uguali ed opposti come abbiamo visto per il trasformatore. Per far ciò le due correnti devono circolare in senso opposto. Mentre una è diretta dall’estremo B, presa intermedia, verso l’estremo A, l’altra è diretta dall’estremo A verso l’estremo B e viceversa.
Il tratto compreso tra l’estremo A e l’estremo B può essere realizzato con un conduttore di sezione più piccola rispetto al restante avvolgimento perché in questo tratto circola una corrente che è uguale alla differenza tra le correnti primaria e secondaria e se queste correnti hanno intensità non tanto diversa, la corrente che risulta dalla loro differenza è di scarsa intensità che dà luogo a minore dissipazione di potenza.
L’autotrasformatore è anche meno ingombrante e meno costoso del trasformatore perché non ha nessun avvolgimento secondario e meno materiale ferromagnetico che occorre per il creare il suo nucleo.
La potenza che il trasformatore deve fornire al carico deve essere trasferita dal circuito primario al circuito secondario tramite il flusso d’induzione poiché è l’unico elemento che entrambe i circuiti hanno in comune. Nell’autotrasformatore invece i due circuiti hanno in comune anche tratto di avvolgimento compreso tra l’estremo B e l’estremo A e quindi tutta la potenza relativa a questo tratto che non occorre trasformare variando la tensione e la corrente. Infatti l’autotrasformatore trasforma solo la potenza relativa al tratto di avvolgimento compreso tra l’estremo B e l’estremo C trasferendola, tramite il flusso d’induzione, al tratto compreso tra l’estremo B e l’estremo A in cui è collegato il carico. Questa potenza si calcola moltiplicando la tensione esistente tra l’estremo B e l’estremo C per la corrente che percorre il tratto di avvolgimento compreso tra questi stessi punti.
Per l’autotrasformatore riduttore di tensione si ha una tensione di 176V (220V - 44V = 176V), e una intensità di corrente di 0,4A. La potenza trasformata è di 176 x 0,4 = 70,4W
Poiché il carico richiede una potenza di 44 x 2 = 88W, dal circuito primario al secondario passa direttamente la potenza di 88 - 70,4 = 17,6W
Per questo motivo la sezione del nucleo può essere calcolata in base alla potenza trasformata di 70,4W a differenza del trasformatore in cui la sezione del nucleo si sarebbe dovuta calcolare in base alla potenza totale di 88W.
Lo stesso vale per l’autotrasformatore elevatore di tensione perché tra l’estremo B e l’estremo C si ha la tensione di 440 - 220 = 220V e visto che l’intensità di corrente è di 2A, la potenza trasformata è 220 x 2 = 440W la metà di quella totale richiesta dal carico, 440 x 2 = 880W
L’autotrasformatore oltre ad essere più conveniente rispetto al trasformatore presenta però uno svantaggio che esamineremo nelle figure seguenti:
Nella prima immagine è rappresentato un trasformatore e nella seconda un autotrasformatore ai quali è stato collocato un interruttore per interrompere la tensione fornita dalla rete.
Nel trasformatore quando si apre l’interruttore per interrompere il funzionamento, il circuito secondario non ha alcun collegamento con la rete e quindi non rimane sotto tensione.
Nell’autotrasformatore invece il secondario rimane collegato alla rete tramite l’avvolgimento quindi nonostante l’interruttore sia aperto, il circuito rimane collegato ad uno dei conduttori di rete e dunque sotto tensione.